، 悲劇 ▭▬ 𝘁𝘄𝗼 ɞ

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❝ Anche nel bel mezzo delle più strane esperienze
interiori continuiamo ad agire allo 𝖘𝖙𝖊𝖘𝖘𝖔 modo:
𝖕𝖑𝖆𝖘𝖒𝖎𝖆𝖒𝖔 immaginosamente la maggior parte di
quell'esperienza e difficilmente possiamo essere
costretti a non assistere come "𝖎𝖓𝖛𝖊𝖓𝖙𝖔𝖗𝖎" a un
qualsiasi evento.
Tutto ciò significa che fondamentalmente, fin da
tempo immemorabile, noi siamo
𝖆𝖇𝖎𝖙𝖚𝖆𝖙𝖎 𝖆𝖑𝖑𝖆 𝖒𝖊𝖓𝖟𝖔𝖌𝖓𝖆 ❞

𝐅𝐑𝚰𝐄𝐃𝐄𝐑𝚰𝐂𝐇 𝐍𝚰𝐄𝐓𝐙𝐒𝐂𝐇𝐄
in 𝔞𝔩 𝔡𝔦 𝔩𝔞' 𝔡𝔢𝔩 𝔟𝔢𝔫𝔢 𝔢 𝔡𝔢𝔩 𝔪𝔞𝔩𝔢

⌗ 𝐂𝐇𝐀𝐏𝐓𝐄𝐑 𝐈𝚰 - ℑ𝔫𝔱𝔬 𝔱𝔥𝔢 𝔪𝔞𝔷𝔢 ᵎᵎ

Leviathan osservò pigramente fuori dalla finestra, trattenendo un sospiro stanco, mentre massaggiava la radice del naso per cercare di appianare il mal di testa atroce che non lo abbandonava da settimane. Erano trascorse tre settimane dall'omicidio, avevano scoperto tutto... e non avevano scoperto nulla. Avevano trovato prove ineluttabili di colpevolezza, ma nessuno, tra il corpo insegnanti e gli investigatori, era certo che davvero degli studenti potessero essere i colpevoli. Troppe cose non tornavano, troppe coincidenze si erano accumulate in troppo poco tempo, l'idea che qualcuno potesse aver incastrato la classe era tanto credibile quanto impossibile da provare. Nessun giudice, nessuna autorità, si sarebbe accontentato di convinzioni basate sulle testimonianze dei sospetti per sospendere un giudizio, per non rinchiudere i sospetti quantomeno in un centro di detenzione minorile.

Leviathan non sapeva quanto a lungo sarebbe riuscito a tenere la vicenda all'interno della scuola, quanto avrebbe potuto temporeggiare ancora prima di dover rendere il mondo partecipe di ciò che avevano scoperto. La salma di Emi era stata esaminata, momentaneamente il corpo era sorvegliato in un istituto legale, un quirk impediva che si deteriorasse, se avessero deciso di fare ulteriori studi su di lei. Non era riuscito ad andare a vederla, ancora. O meglio, aveva preferito tenersi occupato, affondare il capo tra le scartoffie e le poche prove a loro disposizione fino a farsi bruciare gli occhi e dolere la testa tanto da cercare nel sonno un po' di pietà dalla fatica.
Le ultime settimane non avevano giovato alla sua forma fisica: il viso, stanco, sembrava essere invecchiato di dieci anni, una ruga di preoccupazione contorceva in continuazione la fronte proiettando un'ombra scura sul volto, gli occhi gialli spiccavano in mezzo alle voragini che erano le sue occhiaie ancor più evidenti sulla pelle resa più pallida da alcune cicatrici derivate da vecchi combattimenti.

Si trattenne dal sospirare per l'ennesima volta, recuperando dalla scrivania un elastico per capelli giusto per allontanare dal viso le ciocche argentate e disordinate. Nessuno si sarebbe lamentato se, in quelle condizioni, non si fosse presentato al meglio delle sue possibilità.
Rivolse uno sguardo quasi sconsolato nei confronti di un quadro che pendeva dalla parte opposta della stanza, alla sinistra della porta d'ingresso del suo ufficio: il volto sorridente di Euterpe sembrava cercare di incoraggiarlo a tirare dritto, o forse Leviathan aveva solo bisogno di un altro caffè.

Ne fu ancor più certo quando, senza che neanche si preoccupasse di bussare, qualcuno spalancò la porta, facendola vibrare sui cardini. La figura che entrò era bassina, in modo quasi comico, ma sul momento non c'era niente da ridere.
Nanami sembrava terribilmente nervosa, giocherellava con le punte delle due alte code in cui aveva raccolto i capelli, quasi non sapesse bene come esprimere le ragioni dietro quel burrascoso arrivo.

Leviathan rifletté per qualche secondo su cosa potesse indurre la responsabile del corso di supporto, generalmente così sfacciata, a mostrare tanto nervosismo, specialmente dopo un'entrata in scena così irruenta. Lo comprese dopo pochi secondi.
Pensava che ormai la ragazza avesse risolto i suoi antichi dissapori con la legge sulla privacy, ma era evidente che non fosse così. Si appuntò che un giorno si sarebbe occupato anche di quello, ma non era assolutamente il momento di farlo ora.

Scosse il capo, mentre occhieggiava la porta per assicurarsi che nessuno stesse spiacevolmente origliando la loro conversazione. « Non mi interessa in che modo sei venuta a sapere quello che sai, Nanami, dimmelo e basta » borbottò infine, esasperato. Sperava che quantomeno le informazioni valessero il peso morale di essersi caricato anche della consapevolezza dei crimini della sottoposta.

A quelle parole Nanami sembrò illuminarsi, sollevata di esser rimasta lontana dai guai, e, guardandosi attorno a sua volta, si sporse verso di lui.
«La presidentessa ha lasciato la sede del comitato in tutta fretta stamattina».
Non lo aveva appena disturbato solo per comunicargli quello, non è vero?
Bastò un'occhiata eloquente, e vagamente minacciosa, visto lo sguardo stanco, perché la ragazzina si sveltisse a concludere il tutto: «ma non era da sola, ha portato l'artiglieria pesante. Ha portato i mastini con sé, senza rilasciare alcuna comunicazione ufficiale su dove si dovesse recare». Quella era un'informazione decisamente più succosa. E allo stesso tempo quasi terrificante.

Non c'erano molti posti dove quella psicopatica potesse recarsi di così buon mattino senza sentire la necessità di informare la sua agenzia pubblicitaria, che di rado lasciava scoperte le sue spalle, alimentando la fama che la donna aveva accumulato negli ultimi tre anni. E, se anche non poteva dirsi certo che la scuola potesse essere il suo obiettivo, era meglio prendere tutte le precauzioni possibili. Si voltò verso Nanami, domandando: «A che ore è partita?».
«Un'ora fa. Non ci sono stati avvistamenti in seguito, ma non sappiamo in che modo si stia spostando. Di certo non è ancora nei pressi della scuola».

Era un bene che la loro scuola fosse sorvegliata dalle barriere di Nanami, c'era un buon margine di sicurezza nel dire che nessuno potesse entrare o uscire senza che loro lo sapessero. Il che non li aiutava nel caso dell'omicidio, ma poteva dare una mano nel respingere e gestire la minaccia posta da Keiko.
Si sollevò di scatto dalla sedia, afferrando la maschera che era rimasta poggiata al limitare della scrivania e indossandola in un gesto fluido, dettato dall'abitudine.

«Nanami, avverti Yamamoto e la sua squadra di venire qui prima di subito, riunione d'emergenza, e poi allerta i professori di tenersi pronti a ricevere indicazioni da eseguire all'istante. Prima del loro arrivo questa scuola deve essere un bunker».
E, in ogni caso, era abbastanza conscio da sapere che non sarebbero riusciti a tenere lontana quell'arpia troppo a lungo. Poteva essere una persona dalla morale tutt'altro che retta, ma la sua intelligenza era innegabile, sarebbe entrata in un caso o nell'altro.

𝐊𝐄𝐈𝐊𝐎 𝐀𝐊𝐄𝐂𝐇𝐈
Izanagi no ko

Se c'era una cosa che Keiko ammirava nell'animo umano, di certo era la caparbietà. Quel genere di forza d'animo che sapeva spingere gli individui ad affrontare situazioni assurde ed evidentemente insormontabili con una tenacia indissolubile.

Non era poi così diverso dal modo in cui i bambini continuavano a sbracciarsi alla ricerca delle attenzioni dei genitori, disposti persino a mettersi in ridicolo per una parola di approvazione. Di chi cercassero i complimenti, però, non era troppo chiaro.
Dio. I propri superiori. Il destino. Sé stessi. Le scelte erano pressoché infinite.

Almeno quanto erano estremamente ridicoli i risultati: nessuno li avrebbe potuti salvare da quella situazione, nessuno avrebbe accolto le loro disperate grida. Avrebbero soltanto scatenato le risate dei loro nemici, la vergogna di aver preso una decisione che li aveva in ogni caso portati alla distruzione. Un po' come Leviathan.
Da anni Keiko si chiedeva il motivo per cui quell'uomo continuasse a ostinarsi a metterle i bastoni tra le ruote: non ci guadagnava null'altro che rogne e fastidiosi problemi con la legge.

Keiko lo avrebbe volentieri fatto deporre dal suo ruolo, se non fosse stato per la fama di cui godeva, ma questo non significava che l'uomo potesse fare quello che voleva. Ogni tanto era opportuno ricordargli che, se ancora insegnava in quella scuola, era perché lei lo stava permettendo, chiudendo un occhio di fronte alle palesi violazioni di qualsiasi vincolo gli fosse stato posto. Quando l'aveva senza tante cerimonie esclusa dalle indagini sull'omicidio, Keiko aveva ritenuto che fosse il momento adatto per ribadire chi aveva l'autorità maggiore, tra loro due.

Il cancello della Yuuei non era poi così diverso da come lo aveva visto durante la sua ultima visita alla scuola, in occasione del festival sportivo di quell'anno, le alte palizzate di ferro chiuse davanti a lei come se si illudessero davvero di poterla tenere lontana. Certo, le barriere poste dalla piccola Nanami potevano dare un maggiore problema, ma Keiko sapeva cavarsela in ogni situazione, era così che aveva raggiunto la sua attuale posizione.
Si voltò quanto bastava perché il suo sguardo potesse posarsi sui suoi sottoposti, che l'avevano seguita con fare decisamente svogliato, ma non meno obbediente.
«Shi hàn» si rivolse, rapida, a una donna dai lunghi capelli di un colore quasi cinereo, pallido, raccolti in una coda alta. Stava pigramente fumando una sigaretta con l'unico occhio buono, considerando che l'altro era coperto da una benda scura, e indossava una tenuta militare nera che lasciava poco a immaginare sul fisico allenato.

La donna, nel sentirsi richiamare, non si preoccupò neppure di far cadere la sigaretta, afferrandola meglio tra le labbra senza cambiare espressione facciale. Non aveva ancora ricevuto un ordine, ma era pronta a eseguirlo, qualunque sarebbe stato.
«Devono proprio essersi dimenticati del comitato di accoglienza, non credevo che Leviathan-san fosse diventato così sgarbato» commentò Keiko con fare quasi impensierito, una mano sollevata a picchiettare il mento e l'altra attaccata al ventre, appena sotto il seno prosperoso. «Suppongo che dovremo introdurci da soli» concluse, quindi, in un ordine implicito.

Non ebbe bisogno di specificare altro: Shi hàn allungò una mano verso il proprio fianco, come ad afferrare un qualcosa che si materializzò solo una manciata di istanti più tardi. Una vera e propria katana dalla lama quasi trasparente, intravedibile solo per il filo che riluceva di un'intensa luce dorata, prese posto proprio tra le lunghe dita, che la maneggiarono fino a porla di fronte a sé, esperte.
Fu necessario appena un taglio verticale perché qualcosa di violetto si condensasse nell'aria, tracciando i contorni di una cupola difensiva che circondava l'intera scuola e che crollò nell'arco di pochi secondi, mentre la katana scompariva.

Shi hàn si occupò anche di aprire per lei il cancello, poi il gruppetto avanzò nel giardino vuoto, senza alcuna fretta. Doveva essere orario di lezione, oltre le finestre del piano terra si potevano vedere i profili degli studenti chini sui banchi, forse impegnati in un qualche compito.
Meglio così, avrebbero trovato meno interruzioni nei corridoi. Non che contasse di arrivarci di per sé senza problemi, Leviathan sapeva essere insistente, ma non era stupido.
Non del tutto almeno, forse giusto un po' di demenza senile iniziava a offuscare la sua mente, se si ascoltava il parere di Keiko, ma continuava a rifiutare la visita da un medico specializzato del comitato.

Come volevasi dimostrare, ad attenderli all'ingresso dell'edificio c'era la responsabile della sicurezza, armata fino ai denti, con un pugnale che pendeva dal cinturone che le avvolgeva la vita e indosso una tuta che la copriva dal collo alle caviglie.
Non sembrava granché amichevole, la postura irrigidita di chi evidentemente non avrebbe facilmente concesso l'ingresso alla scuola.

«Nina-san!» cinguettò Keiko, con un tono fintamente amichevole, gli occhi socchiusi e una mano accostata al petto. Nina non fece una piega, il viso disteso in una posa neutra, pronta al combattimento. Keiko rimase immobile per diversi secondi, poi l'aria attorno a lei si fece più pesante, avvolgendo tutti i presenti in un'aria cupa e soffocante.
Persino i suoi collaboratori non poterono sottrarsi a quel colpo, il quirk di Keiko aveva raramente pietà per chicchessia e la donna sapeva che potevano sopportare quanto bastava perché Nina comprendesse l'antifona.

«Keiko-sama, sapete che non potete presentarvi senza autorizzazione».
Ammirevole. Davvero ammirevole.
Se non fosse stata un così fedele cane al servizio di Leviathan, avrebbe volentieri invitato Nina tra le sue fila. Si era sempre dimostrata un'ottima combattente, sin dai tempi della guerra.
Bhe, una volta che Leviathan fosse finalmente uscito di scena, le avrebbe comunque proposto di lavorare per lei. Sarebbe stato davvero un peccato far affondare quel bel faccino nella polvere.

«Suvvia, suvvia, Nina-san. Siamo venuti qui solo per assicurarci della sicurezza degli studenti, non vogliamo di certo suscitare spiacevoli incidenti» replicò la presidentessa del comitato, inclinando appena il capo e mostrando un'espressione dispiaciuta.
Senza che avesse bisogno di esordire alcun ordine, Shi hàn si fece avanti, la sigaretta ancora in bocca, l'espressione annoiata. Nina era un'ottima combattente nel corpo a corpo, ma Shi hàn era tra i migliori, che fosse con il quirk o senza.

Keiko poté intravedere l'esatto istante in cui il dubbio iniziò ad oscurare i tratti della responsabile sulla sicurezza. Sorrise, melliflua, picchiettando su un fianco con una mano, per poi incitare l'altra, con tono più malevolo: «Questo teatrino è durato a sufficienza, non credi? Puoi dire a Leviathan che lo attendo nel suo ufficio appena avrà terminato di cercare di rendere questa scuola disperatamente e inutilmente a prova di me ». Non ebbe bisogno di compiere ulteriore fatica, o di dire altro, quando superò la donna e, seguita dai suoi fedeli sottoposti, entrò nella scuola, puntando dritto per dritto le scale che conducevano all'area della presidenza.

Udì distrattamente un paio dei suoi compari ridacchiare per la scena appena superata, dando pacche sulla spalla di un'infastidita Shi hàn che rispose a quelle attenzioni con un grugnito, scrollandosi di dosso le mani impiccione.
Mentre oltrepassava la porta dello studio e si sedeva direttamente sulla comoda poltrona dietro la scrivania, Keiko non poté fare a meno di immaginare come la scuola si sarebbe potuta evolvere una volta che sarebbe divenuta preside.

Il quintetto di ragazzi si trovava nella sala degli interrogatori, un'ultima volta. Avevano iniziato a provare una certa nausea nei confronti di quelle quattro pareti, così come verso gli investigatori che li avevano vessati per giorni alla ricerca di informazioni sul caso.
Non che fossero riusciti a scoprire molto di più rispetto a ciò che era stato detto durante i primi interrogatori, se non quanto potessero resistere degli adolescenti prima di subire un crollo nervoso.

Quel mattino, oltre a Yamamoto, Cookie e Hanafusa, c'era anche Leviathan. Il viso era impossibile da sondare dietro la maschera, ma la posa severa del corpo lasciava intendere intendere che il discorso che intendeva affrontare fosse tutt'altro che semplice.

« So che gli scorsi giorni sono stati pesanti per voi, la situazione è stata molto tesa e so che ci sono state delle... divergenze. Ma vi chiedo di prestare, nei prossimi giorni, il massimo dell'attenzione possibile. Nonostante vi possa sembrare il contrario, nessuno di noi ha intenzione di mandarvi in carcere, per cui proveremo a contenere i danni per quanto potremo. Da voi cinque mi aspetto in merito il massimo della discrezione, avrete addosso occhi e orecchie piuttosto sgradevoli, una minima mossa sbagliata e non importerà quanto vi vorremo proteggere, non potremo fare niente » pronunciò Leviathan, soffermando lo sguardo su ciascuno di loro. Alla studentessa scese un brivido lungo la schiena, mentre deglutiva pesantemente, guardandosi intorno per osservare se anche i suoi compagni stessero provando lo stesso disagio. Non dovette cercare a lungo, a dire il vero, persino nei compagni che apparivano più infantili si poteva percepire una tensione nervosa nel corpo che sembrava quasi la corta di un arco, pronta a scoccare da un momento all'altro.

Ma Leviathan non aveva ancora finito, perché si soffermò a fissarli uno per uno, mortalmente serio: « Come vi abbiamo già detto in passato, nessuno dei vostri compagni ha saputo da noi della vostra colpevolezza, né del fatto che qualcuno in generale sia stato coinvolto ». Un avvertimento, un ammonimento, difficile a dirsi. Ma fu tutto ciò che l'uomo si concesse di dire loro, prima che la professoressa Yattagaru li scortasse nuovamente alle loro stanze.
Lasciandosi ricadere sul letto, la ragazza ebbe modo di fissare il soffitto, pensosa, solo per pochi secondi. Ancora le accuse che gravavano sul suo capo non erano riuscite a impiantarsi allo stesso modo nella sua coscienza: forse un lato di sé si stava lentamente arrendendo all'evidenza, ma ancora non riusciva né a crederci né ad accettarlo.

E la spirale di pensieri da cui era stata catturata, un nuovo quanto futile tentativo di sottrarsi alle colpe che credeva, che sapeva di non aver commesso, fu interrotta solo da tre rintocchi precisi alla porta della sua stanza. Si alzò stancamente, ondeggiando pigramente fino all'ingresso della sua stanza, guardandosi indietro solo un'ultima volta: le pareti erano spoglie, non c'era niente che si potesse ricollegare alla camera in cui aveva trascorso gran parte dei due anni precedenti, ma sospirò ugualmente nel doverla lasciare dopo così poco tempo.
Fuori dalla sua camera, Yattagaru la fissava nuovamente con sguardo neutro. Non c'era sul suo volto la stessa espressione di supporto e materna apprensione, tanto che la studentessa ne rimase confusa per qualche istante ( ormai, negli ultimi giorni, da quando Willow era stata rilasciata, il supporto della loro insegnante responsabile era stato un facile appiglio in cui ricercare sicurezza, sia per lei che per i suoi compagni ); si accorse solo in un secondo momento che, dietro di lei, c'erano alcuni dei suoi compagni di classe, quelli che dormivano nelle stanze adiacenti alla sua, nello specifico, oppure prima di essa.

«Il preside Leviathan ha richiesto la vostra presenza nella sala comune del dormitorio » si limitò a spiegare la donna, lasciandole spazio per uscire, ripetendo quelle che dovevano essere parole di rito usate anche per gli altri. Alla studentessa non servivano, sapeva a cosa stavano andando incontro, ma apprezzò che Leviathan fosse stato di parola nel decidere di preservare il loro coinvolgimento.
Rimase in silenzio per tutta la durata del tragitto, mentre andavano a recuperare gli altri compagni di classe nelle loro rispettive stanze; nessuno, in realtà, sembrava granché in vena di parlare. Di tanto in tanto si sollevava qualche voce, più per esprimere confusione o perplessità che per vera voglia di intavolare discorso, tanto che le lamentele si spegnevano in poco tempo, come candele messe sotto una campana di vetro.

Il silenzio si fece assoluto quando raggiunsero la sala comune: al suo interno, il professor Minamoto li attendeva, solitario. Nonostante il suo volto risultasse come al suo solito una pozza d'inchiostro illeggibile, sembrava cercare di rassicurarli: il corpo aveva una posa tutto sommato rilassata, rivolse loro un gesto appena accennato con la mano.
La confusione di non aver trovato Leviathan come si sarebbero aspettati dalle parole di Yattagaru ben presto sovrastò il dubbio sulla loro presenza in quel luogo. Fu proprio Minamoto, afferrando il senso di confusione generale, a sciogliere il nodoso garbuglio di incertezza: «So che vi state chiedendo cosa vi porti qui, ma non ho sfortunatamente modo di illustrarvi con calma la situazione come avrei voluto. Abbiamo un tempo piuttosto ridotto».
Diversi visi si aggrottarono in espressioni ancora più confuse, ma non fu dato il tempo di esprimere quelle emozioni a voce alta. «Alla Yuuei sono in arrivo degli ospiti, motivo per cui sarete momentaneamente trasportati di nuovo al vostro dormitorio. Non so garantirvi con certezza quanto durerà la cosa, né se sarà permanente o dovrete spostarvi nuovamente ».

A quelle parole, la reazione generale fu ancor più interdetta. C'erano dei volti evidentemente felici di poter tornare nell'ambiente più familiare e noto, mentre altri sembravano più sospettosi su quei misteriosi ospiti. La ragazza sapeva naturalmente a chi il professore si stesse riferendo e, lasciando vagare lo sguardo sulla stanza, non faticò a individuare gli altri sguardi di chi condivideva con lei quella consapevolezza. «A breve dovrò riunirmi con il professor Leviathan e il resto del corpo docenti per accogliere i nostri ospiti, ma la professoressa Yattagaru rimarrà con voi in ogni momento» fu tutto ciò che disse, prima che la stessa ombra che formava il suo viso iniziasse a liquefarsi, discendendo lungo il suo corpo fino a creare una pozza a terra.
Il quirk del professore aveva sempre avuto tratti incredibilmente inquietanti, tutta via immergersi in quella pozza d'oscurità non era più una sensazione tanto strana quanto lo era stato durante le prime settimane del primo anno. Sembrava di entrare in una piscina di liquido denso e viscoso, che si appiccicava alla pelle e appesantiva il corpo, ma la sgradevolezza del tutto veniva compensata da un tepore rassicurante, da un senso di protezione che poteva derivare solo dalla consapevolezza di trovarsi in una dimensione a cui solo il professore sapeva permettere l'accesso. La professoressa Yattagaru li seguì, senza mai perderli di vista, cercando di avvicinarsi agli studenti che sembravano più turbati per offrire loro una parvenza di rassicurazione.

Uscirono da quelle tenebre artificiali solo qualche minuto più tardi, quando le ombre scivolarono via dai loro corpi come se fossero state lavate via da una fresca pioggia, o come se il calore del sole le avesse fatte sciogliere. Sui loro corpi non rimase alcuna traccia del loro passaggio.
Attorno a loro, però, l'ambiente era decisamente più nostalgico: avevano trascorso appena due settimane lontani dal loro dormitorio, ma quelle pareti dai colori caldi e la sala comune tappezzata dei loro ricordi, fra foto di classe, disegni, oggetti lasciati alla rinfusa la sera prima dell'omicidio, seppero fornire un ristoro dallo stress che non credevano possibile.

«Vi consiglio di riposare, finché potrete» li anticipò Yattagaru, prima che potessero sgattaiolare in direzione delle loro stanze, o fare quello che preferivano. «Per quanto il preside possa cercare di prendere tempo, temo che a breve sarete richiamati per accogliere i nostri ospiti» non sembrava particolarmente contenta di quello che stava dicendo, sputò via quelle parole scuotendo il capo, in un sospiro stanco che anticipò il muoversi di passi lenti in direzione delle scale che avrebbero condotto al terzo piano. Al contrario dell'edificio per gli ospiti, il terzo piano del dormitorio Omega non accoglieva stanze di degenza, o per dormire, ma soltanto una sala relax per i professori in cui potevano riposare o trascorrere la pausa pranzo se erano coinvolti in attività con la classe. Era più che altro simile a un piccolo attico, sufficiente ad accogliere appena un paio di stanze e un bagno. Dopotutto, nella forma a C del dormitorio omega, il terzo piano si trovava solo nella sezione centrale. Prima che la figura di Yattagaru potesse scomparire oltre il corrimano delle scale, si udì un'ultima volta la sua voce: «Naturalmente, se aveste bisogno di qualsiasi cosa, non abbiate timore di venirmi a disturbare. Sono a vostra disposizione per qualsiasi cosa». Uno sguardo eloquente che sorvolò l'intero gruppo studenti le fece comprendere che la professoressa, con quell'ultima frase, voleva rivolgersi anche, e forse con addirittura maggiore enfasi, a loro.

Non dovettero aspettare che un paio d'ore prima che la professoressa Yattagaru tornasse, in viso un'espressione irrigidita, come se in realtà volesse imprecare, e il volto già di solito piuttosto pallido colorato di una sfumatura cinerea. Un brivido di timore per ciò che sarebbe potuto accadere discese lungo le schiene di tutti, mentre si affrettavano a seguire la donna oltre i corridoi della scuola.
Il poco tempo trascorso nel dormitorio era stato utile a scoprire che, nonostante le investigazioni, tutto fosse nell'esatto posto in cui lo avevano lasciato prima di esser tirati giù dal letto quel maledetto venerdì mattina di appena qualche settimana prima. C'erano persino ancora i piatti nel lavello lasciati lì da qualcuno di loro la sera precedente.

Non avevano idea di cosa avessero di preciso fatto gli investigatori, ma uno di loro doveva avere un quirk che gli permettesse di analizzare scene del crimine apparentemente senza intaccarle.
E se questo aveva da un lato dato nuovo ordine alla vita degli studenti, che non avevano potuto fare a meno di sentirsi rincuorati nel tornare in un luogo che potevano definire più simile a casa, dall'altro l'immobilità di quel luogo aveva instillato in molti una sensazione di dissociazione quasi. Come se, in quel luogo, il tempo si fosse cristallizzato in un momento ben preciso. Spostare un oggetto, spolverare uno scaffale, estrarre un libro dalla piccola biblioteca che avevano creato nella sala comune, sembrava quasi un crimine. Modificare quel luogo, rimasto intatto dalla morte di Emi, significava andare avanti, ignorare quanto era successo.

Per alcuni di loro non era così difficile come poteva sembrare, diversi animi avevano risposto alla morte della rappresentante di classe con una freddezza e un disinteresse impensabili, ma per altri la ferita era ancora troppo fresca per riuscire a superarla con tanta facilità.
L'unica cosa che mancava, fortunatamente, era il corpo: nel lungo corridoio che divideva la zona notte dalla sala comune non c'era niente che lasciasse pensare che lì si fosse compiuto un omicidio. Niente sangue, niente tracce di alcun genere, persino le maniglie delle porte a cui erano stati legati i polsi di Emi non presentavano più i graffi creati dal sottile filo.
Come unico ricordo della vicenda si poteva avvertire nell'aria un odore insolito, floreale, particolarmente forte. In altre occasioni, in un contesto simile, una tale presenza aromatica si sarebbe potuta riconoscere come quella di un forte disinfettante.

Chiunque avesse ripulito aveva fatto di certo un lavoro eccelso.

Discesero le scale che conducevano all'uscita accompagnati da bassi borbottii e conversazioni incerte: ipotesi più o meno folli su chi stessero per incontrare, sul perché la loro professoressa sembrasse tanto a disagio nell'accompagnarli verso il punto di incontro.

Niente, in ogni modo, li avrebbe potuti preparare alla visione di Keiko Akechi.
Difficile non riconoscere la presidentessa del comitato eroico, considerando l'abbondante numero di apparizioni televisive giornaliere che si dilettava a fare. I capelli biondi, lunghi fino alle ginocchia, ondeggiavano a ogni passo che compiva verso di loro, attraversando il cortile esterno per avvicinarsi alla piazzola antistante all'ingresso del dormitorio.
Non era da sola, e con questo non si intendeva solo il team di professori della Yuuei che, nel peggiore degli umori possibili, le camminava a fianco: dietro di lei c'erano altre sei persone, visi pressoché sconosciuti, forse intravisti intorno a lei durante qualche conferenza stampa.

La donna si muoveva con sicurezza, come se, nonostante avesse visitato la scuola solo un paio di volte in tre anni, già sapesse dove doveva andare e perché.
Quando i due gruppi furono l'uno di fronte all'altro, tutti gli studenti poterono notare lo sguardo della presidentessa assottigliarsi, farsi predatorio, in completo contrasto con le parole eccessivamente smielate che le proruppero fuori dalla bocca pochi istanti dopo: «Oh, ma guardatevi. Ci siamo incontrati appena qualche mese fa, eppure siete già così cresciuti». Aveva unito le mani di fronte al grembo con falsa aria sognante, il tono che aveva usato aveva l'obiettivo di apparire materno, eppure non fece altro che scatenare un'ondata di orrida inquietudine tra gli studenti. Keiko aveva l'aria di uno di quei fiori esotici dalle colorazioni brillanti e dall'aspetto delicato: gradevole d'apparenza, letale di fatto.

Anche se non avevano mai davvero avuto modo di interagirvi in prima persona, tutti avevano compreso che cedere alle sue lusinghe, convincersi della loro veridicità, avrebbe solo significato introdursi in modo masochistico e volontario nello stomaco di una pianta carnivora, solo per esserne consumati lentamente e consapevolmente.

«Spero che questo mio arrivo improvviso non vi abbia sconvolto la mattinata, avrei voluto avvertire ma temevo che il preside Leviathan potesse essere occupato, con gli infelici avvenimenti delle ultime settimane». Falsa come una moneta di cuoio, non fece neanche il gesto di cercare di voltarsi verso il diretto interessato, mantenendo gli occhi gialli su di loro, come un falco puntato su una succulenta preda. «A questo proposito, non posso che portarvi le condoglianze mie e dell'intero comitato eroico. Perdere una così giovane studentessa in un modo tanto barbaro deve essere stato terribile, per non parlare poi del fatto che è successo proprio di fronte a voi» e scosse il capo, come a voler rigettare un brutto pensiero.
Nonostante non avesse fatto accuse, né accennato neppure lontanamente alla possibilità che a essere colpevoli fossero proprio loro, c'era qualcosa nel suo sguardo che faceva ben capire che stesse analizzando i loro volti alla ricerca di una reazione.

Leviathan si fece avanti proprio in quel momento, schermando i suoi studenti dalle occhiate dei membri del comitato. «La preoccupazione espressa dal comitato nei confronti della vicenda è ammirevole, ma se foste qui solo per esprimere condoglianze non sareste venuti in così gran numero» la incalzò, ma Keiko non ne parve turbata. Nonostante le diverse decine di centimetri che li separavano in altezza, la donna rimase ben salda sui piedi, un'espressione serena in viso, con un sorriso mefistofelico che sembrava giungerle fin quasi alle orecchie.

«Oh, che sgarbata, avrei dovuto dirlo subito. A fronte della mancanza di scoperte in queste ultime due settimane, il concilio ristretto del comitato ha ritenuto opportuno intervenire in aiuto alle indagini, per permettere alla scuola di chiudere questo sgradevole caso il prima possibile».
Parole che, forse, non giungevano così sorprendenti, ma che seppero comunque far crollare un silenzio tombale sulla piazzola, carico di tensione e, per alcuni di loro, timore.
«I miei colleghi non potevano sventuratamente separarsi dai loro affari, per cui l'urgenza della vicenda mi ha spinto a ritenere opportuno presentarmi io stessa. Dopotutto è parte delle mie mansioni, occuparmi che tutto sia al suo posto». Nonostante la spiegazione, nessuno credette per un solo istante che la donna avesse scelto di recarsi in prima persona a scuola ben prima che i colleghi trovassero una scusa per non farlo. Sembrava troppo rilassata, contenta quasi di essere lì, per far pensare che avesse solo un intento prettamente lavorativo.

«Ho saputo che di recente avete ristrutturato l'edificio per l'accoglienza dei vostri ospiti, non è così? Spero non sia un problema se ci stabiliremo lì per qualche giorno, il tempo che basta a risolvere questo brutto caso» ponderò, pensierosa, aggrottando appena le sopracciglia. Eppure, non era una domanda, in nessun modo.
Sapeva che Leviathan non si sarebbe potuto opporre alla proposta, non senza apparire sospetto, non senza lasciar intendere che stesse nascondendo qualcosa.
Nella dialettica Keiko era sempre stata una spanna superiore all'eroe, forse perché era l'arma più potente con cui si era fatta strada nella dura campagna elettorale che l'aveva condotta a raggiungere i vertici del comitato nonostante si trattasse di un'associazione di stampo conservativo e, pertanto, tendenzialmente misogino.

Non c'era modo di opporsi alla cosa, Leviathan poté soltanto fissare lo sguardo sui membri del comitato che la donna aveva portato con sé. «Coinvolgere un gran numero di persone nelle indagini potrebbe rivelarsi rischioso, Akechi-san, il team di investigazione ha già diversi membri» le fece notare, additando il gruppetto.
Keiko ruotò il polso, scuotendo il capo come se le fosse appena stato detto uno scherzo. «Oh, ma non ho alcuna intenzione di coinvolgere tutti i miei sottoposti. In verità ho tenuto conto del fatto che la mia presenza potrebbe ostacolare il vostro corso di studi, per cui ho pensato di proporre una piccola attività per tenere gli studenti attivi anche nel caso in cui l'orario di lezione fosse modificato». Ed ecco l'inghippo.

Leviathan non sapeva dire se la presenza di Keiko fosse dovuta più all'omicidio o al desiderio di vedere in atto le capacità degli studenti, arrivato a quel punto.
Ma, ancora una volta, non poteva opporsi. L'unica possibilità che rimaneva era limitare nel possibile i danni: « Per quanto siano abili, Akechi-san, le loro capacità non sono ancora comparabili a quelle dei tuoi colleghi ». Non era neanche un tentativo di farla ragionare, non avrebbe desistito neppure se le avesse presentato le ragioni più plausibili al mondo, ma poteva quantomeno assicurarsi che gli studenti sarebbero stati relativamente al sicuro.
« Oh, non temere, Leviathan-san » lo canzonò Keiko, ghignante, prima di riprendere a parlare « non vorrei mai danneggiare prematuramente questi giovani eroi nascenti. E' per questo che ho portato con me Shibata-san, nessuno può rimanere ferito grazie al suo quirk » qualcuno avrebbe potuto giurare che, sottinteso, fosse rimasto un "non gravemente". E accennò a una donna che sostava dietro di lei.

𝐊𝐘𝐎𝐔 𝐒𝐇𝐈𝐁𝐀𝐓𝐀
Ave atque vale

Non trasmetteva esattamente la migliore delle impressioni: era alta, dal fisico smilzo e la carnagione pallida, con il viso allungato e disteso in un'espressione rilassata. Indossava un ampio kimono che le ricadeva addosso evidenziando il fisico esile, sulla stoffa bianca contrastavano le lunghe ciocche corvine, allacciate in una treccia che scendeva sotto il mento. Una pettinatura di certo unica, che andava a definire con ancora maggiore decisione i tratti affilati del volto, su cui spiccava uno sguardo vacuo. Annoiata era la parola che meglio sembrava descriverla, nonostante una ragazzina più giovane, agganciata alla manica della sua veste, le stesse bisbigliando con fare concitato qualcosa.

Nel sentirsi interpellare, la donna sollevò appena lo sguardo, inarcando un sopracciglio e annuendo, come a voler confermare quando la donna aveva appena detto.

« Non saranno più a rischio di quanto non lo siano nei loro regolari allenamenti. Suppongo che Yattagaru-san interverrà nell'esatto istante in cui reputerà che una situazione sia troppo gravosa per loro, così come potranno farlo gli altri professori. Non credi che sarebbe un vero peccato privarli di un'occasione simile, Leviathan? ».
Più o meno quelle ultime parole misero un punto al discorso. Il preside della scuola e la presidentessa del comitato si scambiarono ancora qualche parola, ma ormai la questione era stata decisa.

E mentre Keiko si allontanava, seguita da Leviathan e da gran parte del corpo professori, gli studenti rimasero assieme a Yattagaru e agli altri membri del comitato, che a quel punto sembrarono farsi più interessati alla questione. A farsi avanti, portavoce di quel gruppetto di sei persone, fu la stessa Shibata che era stata chiamata in causa poco prima.
« Prima di iniziare con l'addestramento, è opportuno che voi mangiate qualcosa. Se avete modo di farlo, preparatevi anche qualcosa da consumare durante il pomeriggio, non sarebbe piacevole dover intervenire per una debolezza dovuta a un calo di zuccheri » la voce era monotona, piatta tanto quanto lo era la linea precisa della sua bocca, a testimonianza di un disinteresse piuttosto marcato verso la vicenda. « La prova avrà inizio alle tre di questo pomeriggio, siate puntuali. Arrivare in tempo è la prima qualità che occorre a un eroe- » ma prima che potesse finire il discorso, la ragazzina che le stava vicino cinguettò, entusiasta: « e portate con voi anche una bussola! ».

L'ora e mezzo di libertà scorse più rapidamente di quanto non avrebbero mai potuto immaginare. Cercare di buttare giù qualcosa non era stato facile, ma tutti si erano costretti a pranzare, a inghiottire qualche boccone di pane abbinato a qualsiasi cosa proponessero quel giorno in mensa.
Era stato strano trovarsi di nuovo in mezzo agli altri studenti della scuola, ricevere le loro occhiate, talvolta confuse, altre volte impietosite, per la maggior parte sospettose.

L'attenzione globalmente puntata su di loro li indusse a terminare di mangiare ancor più in fretta, avvolgendo qualche panino arraffazzonato in delle buste di carta e della frutta e infilandoli alla rinfusa nello zaino.
Yattagaru era rimasta sempre con loro, offrendo supporto per come poteva, e li aveva riaccompagnati fino alla zona degli allenamenti liberi. Sembrava convinta anche meno di loro della necessità di un'attività simile, ma era impossibile e soprattutto troppo tardi per tirarsi indietro.

Shibata era comodamente seduta su una panchina al limitare del campo, intenta a sleggiucchiare un vecchio quaderno che tratteneva tra le lunghe dita di una sola mano, mentre nell'altra sorreggeva una tazza di caffè. Non appariva turbata, in ansia, ma neanche lontanamente interessata da cosa sarebbe successo di lì a pochi minuti.

Ebbero tuttavia modo di squadrare meglio la ragazzina che fino a quel momento avevano sempre vista aggrappata al suo kimono: non doveva essere poi così più vecchia di loro, a voler stimare un'età non avrebbe potuto avere più di diciott'anni.

𝐀𝐊𝐀𝐍𝐄 𝐊𝐎𝐉𝐈𝐌𝐀
The Maze

Lunghi capelli corvini ricadevano sul viso giovanile in un taglio netto, con una frangetta regolare che arrivava fino alle sopracciglia e due corte ciocche mozzate all'altezza degli zigomi. Ad attirare l'attenzione, tuttavia, erano con certezza gli strani disegni a x che le attraversavano il volto da orecchio a orecchio: sembrava quasi che qualcuno avesse inciso il viso con ago e filo, tracciando quei disegni con sadismo perfezionista e lasciando libera solo la bocca, dalle labbra pallide e sottili. I fili di quelle x erano rossi, dello stesso rosso cremisi degli occhi e di alcune striature fra i capelli d'ebano.

Bassina, forse non avrebbe potuto superare il metro e sessanta, indossava un costume rosso e nero, un vestito che presentava dettagli che ricordavano foglie d'acero, che venivano riprese anche nel mantello che poggiava solo sulla spalla destra e nel lungo guanto che copriva la mano sinistra fino al gomito. Camminava sul terreno battuto a piedi nudi, la stoffa del vestito si apriva in un vertiginoso spacco da entrambi i lati che permetteva di intravedere quelle che sembravano calze autoreggenti, che le arrivavano alle ginocchia e si chiudevano sulla caviglia, legate ai piedi tramite degli anellini. Un aspetto che sapeva attirare la sua attenzione, specie con il gigantesco fermaglio nero e floreale appuntato sul lato destro del capo e con le mani che, sul terminare, apparivano quasi mostruose: deformate e appena più lunghe del normale, sembravano quasi artigli.

Gli studenti si chiesero se per caso quella ragazza non fosse la loro prima avversaria, ma le parole di Shibata li spinsero ben presto a ricredersi: « Vi consiglio di apprendere bene l'aspetto di Kojima-san, perché il vostro obiettivo per questo allenamento sarà trovarla, o resistere abbastanza a lungo da farla stancare ». Quella spiegazione destò non pochi dubbi, e fu questo a indurre la ragazzina stessa a intervenire, con il tono vivace e entusiasta di una bambina in un negozio di giocattoli: « Il mio quirk si chiama The Maze, una volta che qualcuno vi entra è necessario che mi trovi al suo interno perché ne possa uscire. Sempre che io non disattivi il mio quirk per prima, naturalmente » e ridacchiò, giuliva, ondeggiando dalle punte ai talloni, bambinesca.
Shibata intervenne nuovamente, terminando di chiarire la prova: « I miei altri colleghi si trovano già nel labirinto, vi incontrerete con loro al suo interno. Sconfiggerli non è in ogni caso l'obiettivo di questa prova: qualsiasi siano le condizioni che vi porteranno a ritrovare Kojima, saranno sufficienti a farvi superare l'allenamento ». Ancor prima che potessero porre la domanda, infine, illustrò: « Basterà che uno solo di voi raggiunga Kojima perché la prova si consideri conclusa ».

Non specificò cosa sarebbe successo in positivo a chi avesse trovato per prima la ragazza, né in negativo a chi non lo avesse fatto o avesse fallito in modo plateale, ma c'era qualcosa nell'ombra vacua del suo sguardo che fece temere ai ragazzi un possibile esito di quelle opportunità.

Appena un paio di istanti dopo, Shibata si avvicinò a Kojima, prendendole una mano finché la ragazza non fu totalmente avvolta da un alone biancastro, non dissimile dal colore pallido della carnagione della donna più anziana. Tutti videro la ragazzina illuminarsi, contenta, prima di porre di fronte a sé le mani artigliate e squarciare l'aria, come se tra lei e gli studenti si trovasse un muro di cartapesta. Lo squarcio, che conduceva verso il buio più assoluto, era abbastanza grande da far passare una persona per volta, tenuto appena aperto dalle mani artigliate che ne fissavano i lembi con forza.

Gli studenti attraversarono quell'inquietante portale uno per uno, preparandosi al peggio.

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𝐇𝐀𝐍 𝐘𝐀𝐍 𝐖𝐔
Dies Irae

Una volta attraversato il portale, Yakko si era ritrovato in una zona del tutto estranea all'area di allenamento. Un ambiente piuttosto cupo, dai colori interamente grigi, quasi ipnotico nella sua ripetitività.
Non faticò a comprendere perché Shibata lo avesse definito un labirinto: alte pareti piatte e prive di alcuna connotazione che potesse distinguerle le une dalle altre disegnavano un percorso impossibile da ricordare. Sollevando lo sguardo verso l'alto, il ragazzo-volpe poteva intravedere una volta celeste meravigliosa, simile a una qualche foto scattata all'universo, non dissimile dal puzzle che avevano appeso nella loro sala comune. Eppure, nonostante la moltitudine di stelle e corpi luminosi, la zona risultava buia.

Sembrava quasi che il grigiore di quelle pareti riuscisse ad assorbire ogni forma di vivacità, gettando l'area in una continua penombra che sembrava nascondere insidie in ogni angolo buio che si ritrovava a svoltare per non schiantarsi contro una lastra.
Al tatto, Yakorei aveva facilmente desunto che dovessero esser fatte di pietra, ma un rapido quanto futile sforzo gli aveva fatto capire che fossero inamovibili, troppo pesanti per essere abbattute o anche solo spostate. Scalarle era un'altra impresa a dir poco improbabile: erano alte quasi cinque metri, spesse almeno uno e mezzo.

Il silenzio era stato a lungo l'unico compagno dei suoi pensieri mentre avanzava, almeno fin quando non fu interrotto: si mise sulla difensiva prima ancora di poter afferrare il significato delle parole che chiunque fosse in arrivo stava pronunciando.
Evitarono per un soffio una catastrofe quando la sfera di fuoco lanciata da Yakko si schiantò all'ultimo su una delle pareti e la possente mano di Ningyo mancò di pochi centimetri la gola dello studente. Dietro il demone sbucò la figura di Mami, con il capino inclinato e il visino confuso, finché non si mise a esclamare, smuovendo le braccia: « Fermo Nin, Fermo! E' solo Koko! ». Ma mentre Ningyo abbassava la mano, ecco che Mami sembrò essere pervasa da un dubbio improvviso: « A meno che uno di quei rettiliani puzzoni non si sia travestito da Koko! ».

Yakko non sapeva neanche bene come contrastare quell'ipotesi, né come rispondere all'assurda domanda che la zombie gli propose per accertarsi della sua identità: « Se non sei un rettiliano puzzone, ma sei il nostro Koko, allora saprai di certo dove è il confine della terra ». Oh, non di nuovo le teorie terrapiattiste. Se già sapevano essere stupide in genere, le risposte di Mami sapevano offrire tutta una nuova frontiera di irragionevolezza.
Infastidito, Yakko sospirò: « Mami, non ti basta aver visto che so usare il mio quirk per farti sapere che sono io? ». No, dall'occhiata eloquente ( e sospettosa al limite del cospiratorio ) della ragazza, non bastava. E Ningyo, pace alla sua buon'anima di assoluta incapacità quando si trattava di situazioni del genere, sembrava fissarlo con lo stesso livello di ignoranza su cosa la ragazzina volesse sentirsi dire di preciso.

« L'Australia? » si ritrovò a commentare la kitsune, più come se fosse una domanda che una risposta, ottenendo di rimando una risata giuliva. Mami sembrava decisamente divertita dalla sua ipotesi, scosse il capo e poi lo rimbrottò: « No, sciocchino, è al triangolo delle Bermuda. Ma va bene così, solo un vero rettiliano lo avrebbe saputo, era una domanda trabocchetto ».
Yakko non si azzardò a commentare, limitandosi a sospirare nel sapere di esser finalmente creduto dalla compagna di classe. Quantomeno questo permetteva loro di avanzare senza altri intoppi, più o meno.

Nel riunirsi ad altri loro compagni di classe, nello specifico Aira, Kei, Willow, Eiko e Rui, Yakko e Ningyo dovettero sopportare un'altra sequela di domande dalle dubbie risposte, che Mami si ostinava a voler rivolgere agli sventurati. Yakko decise di smettere di tentare anche solo lontanamente di seguire il discorso quando la zombie iniziò a tartassare Kei sul supposto intervento degli alieni in un attentato della Vecchia Era, adducendo come prova la supposta mancanza di sorveglianza in uno spazio aereo controllato. Questo quantomeno deponeva a favore delle conoscenze storiche, per quanto distorte, di Mami.

Il gruppetto, nonostante fosse ora formato da più persone, non aveva comunque alcun indizio su come muoversi. Avevano provato a iniziare a segnare delle pareti, così da riuscire a comprendere se fossero finiti nuovamente in una zona già conosciuta, ma quei corridoi erano così lunghi da rendere pressoché impossibile un'analisi accurata.
Ningyo aveva provato a sollevarsi con la sua nuvola fino a cercare di superare quelle pareti di roccia, ma avevano ben presto scoperto che, non appena ci si avvicinava all'altezza massima di quelle stalattiti, queste sembravano allungarsi sempre di più. Trattandosi di un quirk che aveva il solo scopo di creare un labirinto, la cosa aveva anche effettivamente un senso.

Cercare di individuare gli altri loro compagni si era rivelato inutile, apparentemente in quel dedalo grigio c'erano solo loro, e non sapevano per quanto ci sarebbero rimasti. Privi di alcun mezzo che permettesse loro di tenere presente lo scorrere del tempo, potevano trovarsi là dentro da ore, così come solo da una mezz'oretta. Non sapevano neppure se lo scorrere del tempo nel labirinto fosse poi così diverso da quello all'esterno, se fosse statico, per cui una volta usciti si sarebbero ritrovati alla stessa ora, andasse più rapidamente o più lentamente.

Per non parlare poi della sensazione di sconforto e di confusione che la situazione stava generando: la monotonia dell'ambiente, così ripetitivo e silenzioso, faceva venire la nausea. Si risolsero a parlare, anche di cose stupide, per occupare il silenzio frastornante che li circondava.
Poi, dopo l'ennesima svolta a destra in un corridoio non diverso dagli altri, si accorsero che al terminare del lungo percorso si trovava uno stanzone, o comunque uno spazio certamente più ampio di quello che stavano attraversando. Da dove si trovavano era impossibile comprendere di preciso quanto potesse essere grande, entrambi i lati erano coperti dalle pareti del corridoio.

Ciò che potevano vedere, però, era la donna che durante l'intera conversazione con Keiko era rimasta alla destra della presidentessa del comitato, annoiata tanto quanto lo erano sembrati i suoi colleghi. Doveva essersi cambiata per stare più comoda, nonostante avesse mantenuto lo stile rigidamente militare che avevano intravisto poco prima: una canottiera nera e un paio di pantaloni dal taglio morbido, con una moltitudine di tasche, e un paio di alti anfibi.
Aveva legato i capelli in una coda ben stretta, perché non le finissero di fronte al viso, e continuava a fumare: prima ancora della sua figura, gli studenti erano stati attirati dal sottile filo di fumo biancastro che ascendeva verso la volta.

Ancora la donna non li aveva visti, o se lo aveva fatto non aveva dato cenno di volerli attaccare. Non erano neppure obbligati a passarle davanti, come Shibata aveva fatto loro intendere poco prima dell'inizio della prova, c'erano altre strade che si affacciavano sul corridoio in cui si trovavano; la stanza era semplicemente la prima forma di cambiamento ambientale in cui si fossero imbattuti dal momento del loro arrivo.

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𝐓𝐎𝐑𝐔 𝐒𝐇𝐈𝐑𝐀𝐈
From an ancient world

Fin dal momento in cui la vista di Kumori si era fatta più limpida dopo l'ingresso buio nel labirinto, la ragazza aveva realizzato di avere qualche difficoltà nel respirare liberamente. Si era ritrovata in uno stanzone umido, simile a una grotta illuminata da quelli che sembravano muschi bioluminescenti azzurri e verdi che si aggrappavano alla roccia delle pareti.
Faceva caldo, tanto caldo, come una giornata estiva e afosa, in cui l'umidità si appiccicava alla pelle trasmettendo una spiacevole sensazione di bagnato.

Nonostante fosse lì da solo un paio di minuti ( o quelli che le parvero tali ), stava già sudando. Stille d'acqua gocciavano dalla sua fronte scivolandole lungo il viso fino al mento, dove si distaccavano per raggiungere il pavimento, ricoperto a sua volta da un sottile strato d'acqua.
Era difficile muoversi senza produrre rumore, in quella situazione. La luce non era sufficiente a illuminare a dovere la zona, non potevano vedere cosa si trovasse sotto di lei, sotto di loro.
L'unica fortuna che aveva realizzato era il fatto di trovarsi in compagnia: alcuni dei suoi compagni si erano ritrovati nella sua stessa grotta e sembravano confusi tanto quanto lei.

Quando, nel tentativo di avanzare, Tima rischiò si spalmarsi il naso sulla faccia dopo un incontro faccia a faccia con una parete della grotta, il gruppetto optò per muoversi rimanendo rasenti alle pareti, tastando la roccia per assicurarsi di trovare ogni possibile insenatura nella roccia. Realizzarono che nella grotta in cui si trovavano c'erano tre sbocchi: due di minore grandezza, laterali e ancor più claustrofobici, attraversati da un fiumiciattolo luminescente e lieve, e uno centrale, più spazioso, che sembrava condurre a un'altra grotta più luminosa.

Non sapevano se convenisse loro rimanere uniti, contando così su una maggiore forza d'attacco e una grande sicurezza, o separarsi per cercare di vagliare tutte le strade. Ciò che era certo era che avrebbero ben presto dovuto cercare un'area in cui il caldo non fosse tanto opprimente, nella speranza che nessuno di loro nel mentre avesse un attacco di claustrofobia.
Nel silenzio, videro qualcosa muoversi nella grotta in cui sfociava la strada centrale: un lampo dal colore azzurrino, piccolo, che scomparve ben presto oltre le pareti imprecise.

‹‹ Dovremmo muoverci ›› pronunciò Akimitsu a un tratto, interrompendo il silenzio pensoso in cui si erano chiusi tutti, pensierosi sul da farsi. ‹‹ Se è vero che dobbiamo trovare quella ragazza, rimanere fermi qui non servirà a niente ›› mente ragionevole del gruppo, sarebbe quasi sembrato autorevole, non fosse stato per l'aspetto generalmente stanco che si trascinava dietro da qualche giorno a quella parte. Anche nella penombra della grotta, Kumori poteva intravedere le sue occhiaie ogni qual volta la luminosità dei muschi si imbattesse sul suo viso.
Non che lei fosse messa poi tanto meglio, ma era strano vedere i segni di quella stanchezza sul ragazzo.

Non si oppose però a quella scelta, in quel momento non ne aveva una migliore da proporre e, nonostante non fosse propriamente portata per il lavoro di squadra, non aveva neanche intenzione di muoversi da sola in quel posto. Se per qualche motivo il caldo avesse iniziato a debilitarla al punto tale da farla crollare, o cose del genere, non avrebbe avuto modo di comunicarlo a nessuno.

Akimitsu sembrò scegliere come opzione più saggia la strada centrale, la più grande, in cui avrebbero potuto procedere non in fila per uno, ma non sembrò ordinare ai compagni di seguirlo necessariamente. Kumori, nonostante le incertezze, si affrettò a seguirlo, rivolgendo uno sguardo agli altri solo per sapere se li avrebbero seguiti; ciò che era certo era che non voleva rischiare di rimanere da sola. Prima che potessero avanzare fino alla grotta successiva, i ragazzi videro tuttavia un'altra persona passare davanti a loro, ignorandoli apparentemente ( e forse per questo avrebbero dovuto ringraziare il buio circostante ). Si trattava di un uomo, piuttosto alto e magro, con lunghi capelli argentati che gli arrivavano all'altezza delle scapole. Indosso aveva una divisa scura che lasciava parzialmente scoperto il petto, mentre sul capo indossava uno strano copricapo di un colore dorato, che appiattiva i capelli.

Dietro di lui, un'altra scia di quella lucina azzurrina si mosse in modo repentino, scomparendo di nuovo poco dopo.

Erano tornati al punto di partenza. Se la strada era sembrata più sicura di quelle laterali, l'arrivo dell'uomo, evidentemente un membro del comitato, aveva cambiato le carte in tavola. Al contrario degli studenti, che di tanto in tanto si costringevano a trattenere i colpi di tosse dovuti all'aria umida e si tamponavano in continuazione il viso per asciugare il sudore, i movimenti dell'uomo erano sembrati fluidi, non ostacolati dall'ambiente avverso, come se vi fosse abituato. Che fosse per una sua affinità con l'ambiente circostante o per un'attitudine a resistere anche in ambienti avversi, era evidente che per lui il caldo non fosse un problema come lo era per loro.

Per un attimo sorse il dubbio che in effetti la grotta successiva non fosse altrettanto calda, ma il problema rimaneva nel fatto che, per scoprirlo, avrebbero in ogni caso dovuto avvicinarsi, con il rischio che l'uomo li attaccasse. Nessuna soluzione era priva di pericoli, non restava che comprendere quale fosse quello meno impellente.

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𝐄𝐌𝐈𝐊𝐎 𝐎𝐊𝐀𝐖𝐀
Phoenix

Dopo l'ottava svolta a destra, preceduta da una serie di corridoi dritti e ulteriori deviazioni a sinistra, Kiyoshi smise di tenere il conto. Una lieve sensazione di nausea iniziava a farsi strada dentro di sé: quelle dannate pareti sembravano costruire una gabbia senza uscita e ogni direzione presa sembrava non fare la minima differenza. Quando Amaya si avvicinò con l'intenzione di assicurarsi non stesse troppo male, si limitò a tranquillizzarla con un cenno, accompagnato da qualche lamentela sottovoce sul fatto che, da eroi, era piuttosto impossibile si sarebbero trovati in una situazione simile, quindi quella prova aveva ben poco senso.

Almeno, il fatto che le altre sei persone con cui si trovava fossero disorientate quanto lui lo rassicurava sul fatto che non fosse il suo senso dell'orientamento il problema.Mantenere la concezione del tempo era irreale, in quel posto tra il regolare eco dei passi, che rimbombavano tra le pareti, il futile lamentarsi generale di quella situazione e le pareti tutte identiche, la mente sembrava convincersi di trovarsi in una situazione quasi surreale, come un sogno.Tornò a concentrarsi un po' di più quando si accorse di star sudando.

Supponeva fosse la nausea che si faceva sempre più vicina, assieme ai respiri leggermente irregolari che lo accompagnavano da ormai un po', ma la reazione dei compagni lo aiutò a capire che qualcosa, in quella zona del labirinto, dovunque fosse, non andava. Faceva caldo.Estremamente caldo.Erano lì da solo qualche minuto e già aveva gli occhi irritati a causa del sudore che continuava a bagnargli il viso. Fece per asciugarsi il volto sul braccio, ma quello non era messo peggio.

Sentiva la gola improvvisamente secca, mentre respirare sembrava sempre più difficile.E, a quanto pareva, tutto ciò valeva anche per i suoi sfortunati compagni.Neanche il tempo di provare a confrontarsi sulla situazione, che qualcuno fece notare come le mura davanti a loro avessero cambiato colore. Erano ora di un rosso scuro che non prometteva nulla di buono in qualsiasi chiave lo si guardasse.Ma almeno era un qualcosa.Una novità, un cambiamento dopo tutto quel tempo passato a camminare invano.A nessuno venne in mente di studiare la situazione, non al momento: qualche attimo dopo, avevano a iniziare a seguire la scia di mura rosse.

Ci volle poco per trovarsi nel primo cambiamento nella struttura del labirinto che avessero visto da lì a quando avevano iniziato quella prova. La stanza era qualcosa che tentava di essere un cerchio, ma le irregolari pareti di roccia le impedivano la perfezione geometrica. Il pavimento era composto da un ampio cerchio di metallo dal raggio di circa dieci metri, al centro, che si diramava in quattro strade rettangolari che portavano alle quattro uscite o entrate di quella stanza, poste in modo speculare. Le strade erano strette: due persone alla volta potevano camminare sopra le grate di metallo che, gli studenti si accorsero presto, fossero sospese sopra quella che sembrava vera e propria lava, circa una ventina di metri sotto di loro. Ovunque non fossero presenti le quattro strade e il cerchio, il pavimento mancava, nulla a proteggere chiunque da una caduta verso il fondo di quel vulcano in miniatura.

Al centro del cerchio in mezzo alla stanza, una donna alta, dai capelli di un rosso rovente e un vestito bianco parzialmente coperto da un cappotto nero con decorazioni dorate, guardava gli studenti con un lieve sorriso in volto.

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𝐈𝐙𝐔𝐌𝐈 𝐖𝐀𝐊𝐀𝐁𝐀𝐘𝐀𝐒𝐇𝐈
Speed manipulation

Dopo quelle che gli sembravano ore e ore di camminata, Tsukki era a un passo dal buttare via il proprio orgoglio e chiedere a uno dei compagni con cui si era riunito, Noah, di essere portato in braccio. Odiava quella situazione con tutto sé stesso: aveva provato a cercare una soluzione logica all'enigma che quel grande labirinto rappresentava ma, dopo numerosi tentativi, non era ancora riuscito a pensare a niente. Una parte di sé si sarebbe volentieri messa a provare ad arrampicarsi sulle pareti ma la maestosità delle mura, oltre al loro essere perfettamente lisce, gli suggerivano che quella non fosse né la soluzione migliore né quella che il Comitato aveva previsto per loro.

Non che gli importasse troppo di far felice quel gruppetto semi-governativo che si era presentato lì a scuola da un momento all'altro, ma supponeva che aggravare ulteriormente la loro situazione dando un motivo a Keiko per dubitare delle loro capacità come aspiranti eroi non fosse esattamente una buona idea. Inoltre, alcuni dei suoi compagni sembravano starsi impegnando particolarmente per venire a capo di quella situazione: rovinare anche la loro esercitazione sarebbe stato scortese, no?

Una parte di sé, in tempi così bui, sentiva di non voler fare torti troppo grandi alla sua classe. Sconfortato, ma con almeno un minimo di speranza, continuò a camminare. Un cambiamento in quell'alienante monotonia arrivò circa una decina di svolte dopo: l'oscurità derivante dalle stelle sopra di loro si faceva più luminosa in un punto situato alla fine del corridoio in cui erano appena entrati. Il gruppo di studenti aveva vari dubbi sul da farsi ma, dopo una breve discussione, decise che non era il caso di esitare troppo: non sembrava avessero altre opzioni che non fossero il vagabondare per quel labirinto alla speranza di un qualche miracolo divino.

Quando si avvicinarono alla luce, scoprirono due cose: era elettrica e veniva da una stanza piuttosto grande. Infatti, quando Tsukki superò quella sorta di entrata che le pareti del labirinto formavano, dovette coprirsi gli occhi con una mano per non rimanere un attimo stordito dalle migliaia di luci al neon che illuminavano quell'ampia... poteva essere definita stanza? Sembrava uno spazio aperto che si estendeva per chilometri, la strada di una grande metropoli futuristica che continuava a destra e sinistra per migliaia di metri. Grattacieli sorgevano attorno alla strada, guardandoli imponenti dalle loro centinaia di piani.

Le luci erano ovunque e illuminavano perfettamente l'ambiente circostante, dando a ogni oggetto una strana parvenza multicolore. Balconi si affacciavano dai palazzi, mentre vari graffiti erano osservabili sulle basi delle strutture. Tsukki ci mise un po' a capire che quella era una stanza e non una metropoli nascosta dentro al labirinto; per quanto assurda la seconda ipotesi potesse sembrare, l'illusione era realizzata perfettamente e i confini della camera, un quadrato dai lati di circa duecento metri, erano a malapena visibili. Decise di non dire nulla a nessuno, in attesa del primo compagno di classe che avrebbe sbattuto il muso sulle pareti. Per quanto riguardava il soffitto, invece, lo scorgeva a malapena: supponeva ci si potesse arrampicare tranquillamente per una trentina di metri e aveva il sospetto i grattacieli fossero effettivamente accessibili, almeno tramite le scale.

L'unica cosa che rendeva il tutto meno realistico era l'assenza di movimento, di persone. Tutto sembrava immobile, bloccato nel tempo, come in attesa. Alcuni di loro sobbalzarono lievemente, infatti, quando una macchina sospesa in aria passò a gran velocità sulla strada davanti a loro. Un attimo dopo, mentre il veicolo si allontanava all'orizzonte a gran velocità, come se le pareti non esistessero, al centro della strada sembrò materializzarsi la figura di una ragazza dai lunghi capelli bianchi. Indossava quella che sembrava una larga tuta da combattimento dalle sfumature tendente all'azzurro scuro, anche se distinguere bene i colori era reso difficile dalle svariate luci al neon presenti nella stanza. Poco dopo, non ci fu bisogno di un'altra macchina: un istante prima si trovava lì, e l'attimo successivo la strada era di nuovo deserta.

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Ammettetelo, ci avevate dato per dispersi. Avevate dato questa role per scomparsa e deceduta.
E invece, eccoci qui, più forti di prima.
Certo, purtroppo, a differenza di come avevamo promesso, non ci saranno subito le investigazioni accurate, ma sarete liberi di investigare liberamente per conto vostro. Ricordatevi che, per noi, ogni interazione è importante, per cui non risparmiatevi dalle free role che servono sempre. eheheheheh.
Io e felpy abbiamo gli occhi anche dentro i muri.

Nonostante, naturalmente, andremo a favorire risposte più rapide, siamo consapevoli della presenza dell'esame di maturità alle porte, per cui non disperate. Per qualsiasi problema contattateci!

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